16/1/2013 – PUNTI D’INIZIO. ZONE DI RISONANZA

(A posteriori cerco di  raccontare quel luogo d’incontro dove l’inizio sorge)

Talvolta l‘inizio va ricercato a ritroso.

L‘inizio non inizia. L‘inizio dimentica quanto lo precede. Dimentica l‘attesa per restituirci il sobbalzo della sorpresa, riconosce al buio. Devia con decisione il corso degli eventi, senza tuttavia riuscire a cancellarne il solco.

Partorisce simultaneamente nel remoto e nel futuro del tempo, convogliando ciò che lo ha preceduto verso la sua destinazione.

Così, a maggior ragione per noi artigiani d‘arte.

Talvolta ci sembra che l‘inizio consista nel porre nello spazio della nostra creazione un pluralità  di reagenti (testi poetici e filosofici, immagini, discorsi, sequenze cinematografiche, visioni artistiche altrui, teorie sociali, letture storiche e storiografiche…) con cui „entrare in reazione“.

La creazione inizia dove l‘incontro risveglia un prima risposta corporea.

E tuttavia c‘e‘ un prima.

Ci sono gli antecedenti, che si situano lungo il corso della propria storia, le risonanze che continuano ad abitarci l‘orecchio e ad influenzare ogni nuova eco che accogliamo, tutto ciò  che ci ha condotti fin qui, al punto di inizio, che in definitiva non e‘ mai un inizio.

In definitiva anche la nascita non e‘ che il proseguire di qualcuno in qualcun altro

così come il nostro iniziare, consiste nel situarci in un luogo d‘ascolto.

Mi chiedo se non e‘ sempre così, se non si tratta per iniziare che di mettersi in ascolto di forme nuove in grado di incunearsi fra le nostre ossessioni per rinnovarle e talvolta rovesciarle come un guanto?

Mi chiedo se non e‘ così per ogni identità, che si origina dalla relazione con ciò che le e estraneo.

Nel mio caso, comunque, per raccontare dove l‘urgenza di oggi, dove le circostanze di creazione attuale iniziano a destarsi,

per sporgersi verso una creazione nuova,

non si può‘ prescindere dal raccontare gli antecedenti, le ossessioni ricorrenti, le direzioni CARTESIANE, inoppugnabili e per questo da rimettere ogni giorno in discussione del mio ricercare, fra la pagina e la scena.

 

Guardare in questa direzione, voltarsi nuovamente indietro, mentre si cammina verso qualcosa di nuovo.

Per cercare di comprendere il VERSO di questo cammino.

Correre il rischio di cadere a fondo nelle profondità del passato, perdendo di vista l‘orizzonte che abbiamo davanti.

Con il comandamento di scrollarsi ad un certo punto ogni istante fino a quello attuale di dosso, per evitare che il ricordo ci faccia arenare.

Eppure talvolta solo nel ricordo si manifesta abbagliante la rivelazione del vissuto. Talvolta solo nel ripercorrendo la sequenza degli eventi diveniamo capaci di leggere la necessità della direzione.

 

„Ciò che ho dimenticato /scrive Ingeborg Bachmann/ come un bagliore mi ha toccato“

ALCUNI ANTECEDENTI 

Ciò che mi ha mosso verso il punto sul quale oggi inizio é

la ricerca di una parola scenica prima del teatro, per la ridefinizione di una necessità letteraria della parola

 

In questa ricerca mi stimola ancora oggi la domanda circa la relazione fra questa „scena“ di cui parlo e il „teatro“.

 

Anche perché con il passare degli anni, l‘accumularsi delle esperienze, mi sono resa conto che rimossa l‘intimità  privata della stanza, guadagnata la scena, diventava necessario ritrovare un‘altra forma di intimità, uscire dalla dimensione della „teatralità“ che obbliga il pubblico a subire l‘andamento, il ritmo, il tempo, la successione, preimpostate dagli artisti (in molti casi dal solo regista), per affacciarci su uno spazio di parola „condiviso“, ma in cui divenga possibile a ciascuno (artisti e pubblico) determinare il ritmo, il tempo, del proprio incontro intimo con l‘opera, del proprio percorso singolare al suo interno.

 

I punti cardinali della mia ricerca si sono andati formando, determinati dall‘intenzione di veder nascere questo luogo, condiviso eppure intimo, dove divenisse possibile fare con le parole qualcosa di nuovo. Di veramente nuovo? O di radicalmente antico, che restituisse alle sue origini il senso della parola „dialogo“?

Evidentemente, l‘uno e l‘altro.