Qualcuno in scena pronuncia l‘espressione „corpo morto“. Sul tappeto davanti a me si lavora sulle diverse declinazioni della parola corpo e l‘immagine, monito comune al nostro destino remoto, del corpo morto, traghetta il lavoro verso un ampio paesaggio di memorie e pensieri. Sotto gli occhi ho il testo in greco dell‘Apocalisse. Corpo morto del testo? Mi chiedo. E intanto il mio corpo e‘ abitato dal sapore di quei suoni remoti nella storia delle civiltà come nella mia propria storia intellettuale, a cui tuttavia il desiderio non cessa di ricondurmi. Nel senso del desiderio che ci conduce continuamente a ripercorrerlo, questo corpo del testo, incarnato in questa lingua detta „morta“ e‘ tutt‘altro che passato, tutt‘altro che morto.
Questo sguardo gettato sul corpo immortale del testo mi riempie d‘emozione, che continua ad abitare le mie riflessioni mentre guardo il seguito del lavoro.
Le parole che hanno dialogato con i corpi in creazione