Tra i vasi comunicanti, qualcuno si è rotto.
La voce è esplosa dal corpo che si è reso oggetto nell’agire.
L’occhio della voce ha ripercorso il tragitto a ritroso di uomo che muove in una direzione. Il quotidiano e la poesia si incontrano nel punto più alto dell’inesistenza dell’Io. Sono storia ed epica, quando cancellano l’uomo che le canta. Le parole come pietra che edificano uno spazio, che lo mutano, che lo permeano e lo lasciano vuoto ad altri.
Non credo nella finitezza del tempo e dello spazio. Riconosco le regole ma credo nella loro assoluta contingenza. Non hanno anima propria ma portano il nome di chi le formula. Teorema di…Regola di… Diagramma di… corrispondono alla visione.
Il mio passo può coprire metri e kilometri restando fermo, la mia presenza può svanire nella concretezza della carne che la costringe ad essere oggetto. Ho percorso tutta la mia vita sul tappeto, ho cercato di far precipitare in un passo, in una punta di piedi, tutto quello che era, che è e che sarà.
Esistono spazi non visibili, non si possono mai chiudere gli occhiali dell’altro. In bilico tra le immagini proprie e quelle degli altri. Nessuna può avere la meglio. Il soggetto cesso quando comincia l’oggetto.
Si danno nomi alle cose per poterle dire. Si tacciono le spinte che potrebbero collidere. Ognuno è nella misura in cui agisce e fallisce. Non muovendo non è. Restando salvo non è. In silenzio non è.
A volte basta guardare. A volte bisogna sentirsi liberi di guardare. Guardare per dire in un tempo che non deve essere necessariamente questo.
Conosciamo le cose solo precipitandoci sopra o qualcosa del genere, senza lo spazio della caduta allora è silenzio e nulla.
Non posso credere alla parola fine. Alla parola inizio. Alla parola ultimo, infinito, primo.
Nascerò a Maggio.
Sono morta un giorno.
Scrivi ciò che hai visto, le cose che sono e le cose che accadranno.
Puoi vedere il freddo?
Sentire il grigio?
Ascoltare la tessitura del mio sguardo?
Esistono uomini privi degli occhi della mente?
Chi li ha evirati, dunque?