Vivo in quella solitudine che è dolorosa in gioventù, ma deliziosa negli anni della maturità.
La vecchiaia forse è nell’aver appreso.
Il tempo sacro dell’apprendimento
Lo spazio in cui si è certi di esistere,in cui si può guardare indietro e allo stesso tempo constatarsi nel presente.
L’arte non può chiedere di essere vista.
Oggi per me deve esistere come il fossile. Non può essere soggetta al soggetto.
La dura lotta tra il piede, la schiena, la testa e quell’io che divampa, e quel tu che incendiandoti guardi e formuli pensiero.
Una vista piana, che ogni tanto si dimentica della circonferenza della terra, perché almeno una volta vorrebbe tentare il brivido di cadere dai confini di una terra piatta.
La voce percorre chilometri al secondo che fiancheggiano la luce che sbatte sull’occhio e si abbatte sull’orecchio. Il tuo suono. Il mio suono. Il suono del suono.
In alcuni momenti chiedo che l’epica resti appannaggio degli Dei che fomentano la rovina degli uomini perché questi possano essere cantati. Il rombo del tuono. La ferocia di Zeus. Lo sguardo sospetto di Giunone. Una ninfa che corre.
Domandarsi e cercare di non rispondersi. Cambiare solo domanda.
Qual è la mia domanda ora?
L’ancoraggio?
L’invischio?