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DE INFINITO UNIVERSO E MONDI – Giordano Bruno

„ Cossi abbiamo risoluto ancora il sesto o argumento, il quale per contatto di mondi in punto, dimanda

che cosa ritrovarsi possa in que spacii triangulari,

che non sia di natura di cielo ne‘ di elementi.

Perche‘ noi abbiamo un cielo nel quale hanno gli lor spacii, regioni e distanze competenti gli mondi;

E CHE SI DIFFONDE PER TUTTO

PENETRA IL TUTTO

ET E‘CONTINENTE, continuo e contiguo al tutto, e che non si lascia vacuo alcuno: eccetto se quello medesimo, come in sito e luogo in cui tutto si muove e

SPACIO IN CUI TUTTO DISCORRE, ti piacesse chiamar vacuo come molti chiamorno;

o pur primo suggetto che s‘intenda in esso vacuo, per non gli far avere in parte alcuna loco,

se ti piacesse privativa e logicamente porlo come cosa DISTINTA PER RAGIONE E NON PER NATURA E SUSISTENZA, da lo ente e corpo.

Di sorte che niente se intende essere che non sia in loco o finito o infinito, o corporea o incorporeamente, o secondo tutto o secondo le parti: il qual loco infine non sia altro che spacio, il qual spacio non sia altro che vacuo, il quale se vogliamo intendere come cosa persistente, diciamo essere l‘etereo campo che contiene gli mondi; se vogliamo concipere come cosa consistente, diciamo essere spacio in cui e‘ l‘etereo campo e mondi e che non si puo‘ intendere essere in altro. Ecco come non abbiamo necessita‘ di fengere nuovi elementi e mondi, al contrario di coloro che per levissima occasione cominciorno a nominare orbi deferenti, materie divine, parti piu rare e dense di natura celeste, quinte essenze et altre fantasie e nomi privi d‘ogne suggetto e veritade. „

                  1. Bruno, De infinito universo e mondi

1/3/2013 SPAZIAMENTI

 

„ Cossi abbiamo risoluto ancora il sesto o argumento, il quale per contatto di mondi in punto, dimanda

che cosa ritrovarsi possa in que spacii triangulari,

che non sia di natura di cielo ne‘ di elementi.

Perche‘ noi abbiamo un cielo nel quale hanno gli lor spacii, regioni e distanze competenti gli mondi;

E CHE SI DIFFONDE PER TUTTO

PENETRA IL TUTTO

ET E‘CONTINENTE, continuo e contiguo al tutto, e che non si lascia vacuo alcuno: eccetto se quello medesimo, come in sito e luogo in cui tutto si muove e

SPACIO IN CUI TUTTO DISCORRE, ti piacesse chiamar vacuo come molti chiamorno;

o pur primo suggetto che s‘intenda in esso vacuo, per non gli far avere in parte alcuna loco,

se ti piacesse privativa e logicamente porlo come cosa DISTINTA PER RAGIONE E NON PER NATURA E SUSISTENZA, da lo ente e corpo.

Di sorte che niente se intende essere che non sia in loco o finito o infinito, o corporea o incorporeamente, o secondo tutto o secondo le parti: il qual loco infine non sia altro che spacio, il qual spacio non sia altro che vacuo, il quale se vogliamo intendere come cosa persistente, diciamo essere l‘etereo campo che contiene gli mondi; se vogliamo concipere come cosa consistente, diciamo essere spacio in cui e‘ l‘etereo campo e mondi e che non si puo‘ intendere essere in altro. Ecco come non abbiamo necessita‘ di fengere nuovi elementi e mondi, al contrario di coloro che per levissima occasione cominciorno a nominare orbi deferenti, materie divine, parti piu rare e dense di natura celeste, quinte essenze et altre fantasie e nomi privi d‘ogne suggetto e veritade. „

                  1. Bruno, De infinito universo e mondi

a proposito:

 

Lo spazio non e‘ un vuoto con delle leggi proprie,

cavi volumi euclidei, dalle forme antesignate

rettilinee ante l‘arrivo dei corpi

 

Esso e‘ disequilibrio reciproco di forze in tensione,

che si traccia in linee tra corpi in reazione

Esso e‘ mezzo che si incurva, incurvatura, incalcatura, deposito di vuoto

che si disegna fra i passaggi

che un respiro già solleva

a mettersi nella tensione di altri corpi

 

lo stare nel„mezzo“

lo stare „fra“ corpi

che si apre

e si chiude

e li divarica e li congiunge

 

lo stare „fra“ i corpi come loro risultante e campo del loro incontro

S. GIOVANNI DELLA CROCE – Ascesa a Monte Carmelo

{…}

Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente.

Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente.

Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente.

Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente.

Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.

Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.

Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.

Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei.

(…)

S. Giovanni della Croce

T.S. ELIOT – East Coker (Four Quartets)

{…}

In order to arrive there,
to arrive where you are, to get from where you are not,
you must go by a way wherein there is no ecstasy.
In order to arrive at what you do not know
you must go by the way which is the way of ignorance.
In order to possess what you do not possess
you must go by the way of dispossession.
In order to arrive at what you are not
you must go through the way in which you are not.
And what you do not know is the only thing you know
and what you own is what you do not own
and where you are is where you are not.

{…}

Per arrivare dove voi siete, per andare via da dove non siete,

dovete percorrere una strada dove non c’è estasi.

Per arrivare a ciò che non sapete

dovete andare per una strada che è la via dell’ignoranza.

Per possedere ciò che non possedete

dovete percorrere la via della spogliazione.

Per arrivare a ciò che non siete

dovete attraversare la via in cui non siete.

E ciò che non sapete è la sola cosa che sapete

e ciò che avete è ciò che non avete

e dove siete è là dove non siete.

T.S. Eliot

 

 

 

LE GOUFFRE – Charles Baudelaire

Le gouffre

Pascal avait son gouffre, avec lui se mouvant.

– Hélas ! tout est abîme, – action, désir, rêve,

Parole ! et sur mon poil qui tout droit se relève

Maintes fois de la Peur je sens passer le vent.


En haut, en bas, partout, la profondeur, la grève,

Le silence, l’espace affreux et captivant…

Sur le fond de mes nuits Dieu de son doigt savant

Dessine un cauchemar multiforme et sans trêve.


J’ai peur du sommeil comme on a peur d’un grand trou,

Tout plein de vague horreur, menant on ne sait où ;

Je ne vois qu’infini par toutes les fenêtres,


Et mon esprit, toujours du vertige hanté,

Jalouse du néant l’insensibilité.

Ah ! ne jamais sortir des Nombres et des Etres !

Charles Baudelaire

Baratro

Il suo baratro aveva Pascal, che lo accompagnava.

Con lui ovunque abisso, –  in ogni azione, desiderio, sogno

Parola! E sul mio pelo

Più volte sento passare il vento, che mi raggela.


In alto, in basso, ovunque, profondità e peso.

Sul fondo delle mie notti Dio con il suo dito,

sapiente disegna un incubo multiforme e senza tregua.


Ho paura del sonno come ho paura di quel buco, buio, sconfinato,

colmo di  un orrore vago e senza oggetto, che non so dove conduca

DA OGNUNA DELLE MIE FINESTRE, NON VEDO CHE INFINITO,

E il mio spirito, dalla vertigine di continuo ossessionato,

guarda con invidia al nullo niente anestetico dell‘insensibilità.

Potessi mai mai trapassare il novero del Numero e degli enti


Libera Traduzione dal francese di Loretta Mesiti

10/2/2013 – APAX

Nella seconda tappa le parole che scrivo durante la creazione sono incorniciate da una strana, piccola lapide di legno laccato bianco, sulla quale un paio di scarpe nere alte, come inchiodate, per far sollevare gli attori. 

 Iscritte su quel supporto alle parole si richiede una temporalità altra, definitiva, capace di proiettare ogni azione ed ogni immagine sullo sfondo di una permanenza.

 Questo e’ quello che ho scritto.

18/1/2013 – CorpomortoCORPOIMMORTALE

Qualcuno in scena pronuncia l‘espressione „corpo morto“. Sul tappeto davanti a me si lavora sulle diverse declinazioni della parola corpo e l‘immagine, monito comune al nostro destino remoto, del corpo morto, traghetta il lavoro verso un ampio paesaggio di memorie e pensieri. Sotto gli occhi ho il testo in greco dell‘Apocalisse. Corpo morto del testo? Mi chiedo. E intanto il mio corpo e‘ abitato dal sapore di quei suoni remoti nella storia delle civiltà come nella mia propria storia intellettuale, a cui tuttavia il desiderio non cessa di ricondurmi. Nel senso del desiderio che ci conduce continuamente a ripercorrerlo, questo corpo del testo, incarnato in questa lingua detta „morta“ e‘ tutt‘altro che passato, tutt‘altro che morto.

Questo sguardo gettato sul corpo immortale del testo mi riempie d‘emozione, che continua ad abitare le mie riflessioni mentre guardo il seguito del lavoro.

Le parole che hanno dialogato con i corpi in creazione

17/1/2013 – ANCORAGGI

Le parole che hanno dialogato con i corpi in scena

 

Considerazioni di poetica della visione

Porto con me l‘ossessione di DIVENTARE UN essere PANSTOMADERMICO un essere la cui superficie e‘ disseminata di luoghi di passaggio. Ogni punto della pelle, ricettore e trasmettitore da cui non cessa di sgorgare parola pensante e poetica in viaggio verso una nuova lingua.

DIVENTARE UN ESSERE PANSTOMADERMICO, che conduca la lingua oltre i suoi confini, sul luogo in cui dentro e fuori, interiore ed esteriore, remoto e a venire entrano in contatto e trapassano l‘uno nell‘altro

A questa ossessione decido di rimanere ancorata.

Questo percorso spero mi insegnerà, se questa ossessione abbia la dignità di una visione.

 

Llasciar delirare/deragliare il senso dai suoi contorni, in modo che il contenitore sonoro della parola vibri, entri in risonanza con altri universi con altre visioni, con altre persone, con altre lingue e con altri linguaggi

e sconfini in un territorio poetico ove i sensi fluiscono per non risolidificarsi in alcun significato, ma permanere fluire e attraversamento poetico.

 

Traghettare le parole oltre il confine del significato „attribuito“ in quella terra di confine dove si può riscrivere, sovrascrivere la storia dei suoi sensi possibili, lasciarla risuonare fra le lingue, fra i sensi, oltre le lingue, oltre i suoi sensi.

Lingua rinnovata, comune solo perche agita sul territorio comune della disposizione all‘ ascolto,

Lingua nuova fatta di parole che a loro volta si mettono in viaggio

CHE OGNI PAROLA SIA resa visionaria, TRAGHETTATA sull‘orlo del suo futuro, sull‘orlo del suo dire più di quello che sa dire.

 

Quest‘altra ossessione mi porto con me nel lavoro.

 

Cosa sarà questa  lingua, come riuscirà a far dialogare chi ora si ignora e si tace? Quale sarà il suo alfabeto?

Sarà parola, scritta parlata, o semplicemente pensata ed agita con un gesto? Con un passo di danza?

 

Con me porto la dismisura di questa ambizione.

 

E spero che i maestri della visione con cui in questo percorso entreremo in dialogo, Einstein, Giovanni,  Giordano Bruno, possano insegnarmi qualcosa, su come accollarsi questa dismisura senza cedere all‘arenarsi sgomento del passo.

 

„Il mondo segue un ritmo di visione, secondo la scansione di diastole e sistole del sensibile“

 

La visione come portatrice di improvvise accelerazioni e di insperate spirali, che riescono a rendere presenti nel qui e ora di un vissuto personale e collettivo un altrove assoluto. Discontinuità irreversibile. Ribaltamento copernicano

La plastica relazione fra tempo e spazio, che converge verso quei momenti di sovversione e capovolgimento.

Indagare la dinamica che lega questi parametri nella visione.

Quali leggi seguono spazio e tempo nell‘universo abitato dal visionario?

Come spazio e tempo si ridisegnano nella visione?

Come la visione apre lo spazio, apre il tempo, disloca la mia posizione, mi rende al contempo qui e altrove, mi rende  al contempo ora e in un altro tempo lontano da questo?

 

 

16/1/2013 – SUPERFICIE DI SCRITTURA

(Riflessioni sulla scrittura   in dialogo con i corpi in creazione durante la prima tappa di Alto Fragile)

Anche la scrittura si dispiega nello spazio.

Il modo in cui si dispone genera (o non genera) uno spazio di lettura.

La mia scrittura cerca il suo spazio. 

Nel suo espandersi e dispiegarsi in uno spazio ciò che la INforma e‘ un assioma, che ne definisce le coordinate cartesiane.

Non c‘e‘ scrittura possibile, senza rivolgersi nella direzione di un ascolto. Senza „adresse“ direbbero i francesi. Senza rivolgersi in una certa direzione come invito.

Le parole che hanno dialogato con i corpi in scena

 

In questi video scorre la scrittura in dialogo durante le giornate di lavoro in ESPOSIZIONE al PAN.

Scrittura in risonanza, nata dall‘ascolto,trascrizione poetica dell‘azione scenica, restituita in tempo reale, attraverso una proiezione della scrittura in continua composizione agli attori in creazione. Nel testo/tessuto così composto e invischiato nel dialogo collettivo fluisce anche una continua sovrascrizione di citazioni tratte dalle fonti, che mi sembrano echeggiare con quanto accade in me e in scena.

 

E se la mia parola rimanesse soltanto lettera?

E se il mio pensiero rimanesse pensiero?

E se al compimento di questo tempo nascesse un nuovo modo di ascoltare la parola „Corpo“? Di abitare la parola „tempo“? Di guardare la parola „vista“? Di stare sulla parola „spazio“?

 

Per essere all‘altezza del monito che ci ingiunge di traghettare la nostra pratica al di la‘ del perimetro dell‘arte, di proiettare il nostro fare FUORI, verso un altrove del TEMPO, bisogna prendere coscienza della propria posizione. Definirne le coordinate. Tracciare la mappa che ci situi nel tempo e nello spazio, per poi scagliarCI ALTROVE.

Abbracciare il corso degli eventi che definiscono la nostra posizione con un solo sguardo.

Ripercorrere i passi che mi hanno condotta QUI

Disegnare il TRACCIATO che congiunge il FUI al SARO‘

E poi scagliarci al di la‘ del qui, al di la‘ del fui e del saro‘, al di la‘ del tracciato.

 

 

16/1/2013 – PUNTI D’INIZIO. ZONE DI RISONANZA

(A posteriori cerco di  raccontare quel luogo d’incontro dove l’inizio sorge)

Talvolta l‘inizio va ricercato a ritroso.

L‘inizio non inizia. L‘inizio dimentica quanto lo precede. Dimentica l‘attesa per restituirci il sobbalzo della sorpresa, riconosce al buio. Devia con decisione il corso degli eventi, senza tuttavia riuscire a cancellarne il solco.

Partorisce simultaneamente nel remoto e nel futuro del tempo, convogliando ciò che lo ha preceduto verso la sua destinazione.

Così, a maggior ragione per noi artigiani d‘arte.

Talvolta ci sembra che l‘inizio consista nel porre nello spazio della nostra creazione un pluralità  di reagenti (testi poetici e filosofici, immagini, discorsi, sequenze cinematografiche, visioni artistiche altrui, teorie sociali, letture storiche e storiografiche…) con cui „entrare in reazione“.

La creazione inizia dove l‘incontro risveglia un prima risposta corporea.

E tuttavia c‘e‘ un prima.

Ci sono gli antecedenti, che si situano lungo il corso della propria storia, le risonanze che continuano ad abitarci l‘orecchio e ad influenzare ogni nuova eco che accogliamo, tutto ciò  che ci ha condotti fin qui, al punto di inizio, che in definitiva non e‘ mai un inizio.

In definitiva anche la nascita non e‘ che il proseguire di qualcuno in qualcun altro

così come il nostro iniziare, consiste nel situarci in un luogo d‘ascolto.

Mi chiedo se non e‘ sempre così, se non si tratta per iniziare che di mettersi in ascolto di forme nuove in grado di incunearsi fra le nostre ossessioni per rinnovarle e talvolta rovesciarle come un guanto?

Mi chiedo se non e‘ così per ogni identità, che si origina dalla relazione con ciò che le e estraneo.

Nel mio caso, comunque, per raccontare dove l‘urgenza di oggi, dove le circostanze di creazione attuale iniziano a destarsi,

per sporgersi verso una creazione nuova,

non si può‘ prescindere dal raccontare gli antecedenti, le ossessioni ricorrenti, le direzioni CARTESIANE, inoppugnabili e per questo da rimettere ogni giorno in discussione del mio ricercare, fra la pagina e la scena.

 

Guardare in questa direzione, voltarsi nuovamente indietro, mentre si cammina verso qualcosa di nuovo.

Per cercare di comprendere il VERSO di questo cammino.

Correre il rischio di cadere a fondo nelle profondità del passato, perdendo di vista l‘orizzonte che abbiamo davanti.

Con il comandamento di scrollarsi ad un certo punto ogni istante fino a quello attuale di dosso, per evitare che il ricordo ci faccia arenare.

Eppure talvolta solo nel ricordo si manifesta abbagliante la rivelazione del vissuto. Talvolta solo nel ripercorrendo la sequenza degli eventi diveniamo capaci di leggere la necessità della direzione.

 

„Ciò che ho dimenticato /scrive Ingeborg Bachmann/ come un bagliore mi ha toccato“

ALCUNI ANTECEDENTI 

Ciò che mi ha mosso verso il punto sul quale oggi inizio é

la ricerca di una parola scenica prima del teatro, per la ridefinizione di una necessità letteraria della parola

 

In questa ricerca mi stimola ancora oggi la domanda circa la relazione fra questa „scena“ di cui parlo e il „teatro“.

 

Anche perché con il passare degli anni, l‘accumularsi delle esperienze, mi sono resa conto che rimossa l‘intimità  privata della stanza, guadagnata la scena, diventava necessario ritrovare un‘altra forma di intimità, uscire dalla dimensione della „teatralità“ che obbliga il pubblico a subire l‘andamento, il ritmo, il tempo, la successione, preimpostate dagli artisti (in molti casi dal solo regista), per affacciarci su uno spazio di parola „condiviso“, ma in cui divenga possibile a ciascuno (artisti e pubblico) determinare il ritmo, il tempo, del proprio incontro intimo con l‘opera, del proprio percorso singolare al suo interno.

 

I punti cardinali della mia ricerca si sono andati formando, determinati dall‘intenzione di veder nascere questo luogo, condiviso eppure intimo, dove divenisse possibile fare con le parole qualcosa di nuovo. Di veramente nuovo? O di radicalmente antico, che restituisse alle sue origini il senso della parola „dialogo“?

Evidentemente, l‘uno e l‘altro.

 

 

10/1/2013 – MAPPATURE

Gettando uno sguardo di sorvolo a ritroso sui luoghi che hanno determinato la strada della creazione

Ogni regione sulla quale lo sguardo del visionario getta lampi di luce,

trova rispondenza su una porzione della sua pelle.

Il rimo con cui l‘aspirazione si trasforma ed evolve e‘lo stesso con cui l‘occhio apprende a perlustrare il reale.

Le superfici sensibili del corpo si lasciano permeare dalle chimere che ci sospingono in avanti. Verso un altrove del tempo.

Sul corpo d‘artista in creazione, in questo non dissimile dal corpo visionario, si disegna la mappatura dei territori verso cui il desiderio ci muove.

La loro forma resta ancora da disvelare.

 

Se riuscissimo a descrivere, nel dettaglio, come si distribuiscono sulla distesa della nostra pelle gli spazi d‘attesa d‘incontri, i solchi di fame di spiragli, i punti in rivoluzione contro il reale, allora potremmo disegnare precisamente il tracciato del luogo che stiamo andando a fondare, della geografia verso la quale ci muoviamo.

 

Proprio da qui prende le mosse questo lavoro.

 

Punti di inizio

Zone di risonanza

Regioni d’ ascolto

 

 

Punti d‘inizio del percorso, del viaggio, del dialogo. 

Ancoraggi di me a me, di me a coloro al cui ascolto sempre torno.

Punti d‘attrito e di slancio, che disegnano sul contorno della nostra figura umana, un profilo sconosciuto, che ha sapore di futuro.

 

A tentoni palmo a palmo perlustrare.