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DE INFINITO UNIVERSO E MONDI – Giordano Bruno

„ Cossi abbiamo risoluto ancora il sesto o argumento, il quale per contatto di mondi in punto, dimanda

che cosa ritrovarsi possa in que spacii triangulari,

che non sia di natura di cielo ne‘ di elementi.

Perche‘ noi abbiamo un cielo nel quale hanno gli lor spacii, regioni e distanze competenti gli mondi;

E CHE SI DIFFONDE PER TUTTO

PENETRA IL TUTTO

ET E‘CONTINENTE, continuo e contiguo al tutto, e che non si lascia vacuo alcuno: eccetto se quello medesimo, come in sito e luogo in cui tutto si muove e

SPACIO IN CUI TUTTO DISCORRE, ti piacesse chiamar vacuo come molti chiamorno;

o pur primo suggetto che s‘intenda in esso vacuo, per non gli far avere in parte alcuna loco,

se ti piacesse privativa e logicamente porlo come cosa DISTINTA PER RAGIONE E NON PER NATURA E SUSISTENZA, da lo ente e corpo.

Di sorte che niente se intende essere che non sia in loco o finito o infinito, o corporea o incorporeamente, o secondo tutto o secondo le parti: il qual loco infine non sia altro che spacio, il qual spacio non sia altro che vacuo, il quale se vogliamo intendere come cosa persistente, diciamo essere l‘etereo campo che contiene gli mondi; se vogliamo concipere come cosa consistente, diciamo essere spacio in cui e‘ l‘etereo campo e mondi e che non si puo‘ intendere essere in altro. Ecco come non abbiamo necessita‘ di fengere nuovi elementi e mondi, al contrario di coloro che per levissima occasione cominciorno a nominare orbi deferenti, materie divine, parti piu rare e dense di natura celeste, quinte essenze et altre fantasie e nomi privi d‘ogne suggetto e veritade. „

                  1. Bruno, De infinito universo e mondi

GIORDANO BRUNO – Michele Ciliberto

[…]

Ci sono uomini che vivono da morti gli anni propri e gli anni altrui; uomini che sanno vivere da vivi il tempo proprio e quello già passato. E ci sono poi uomini singolari che sono come Mercuri discesi dal cielo sulla terra. La provvidenza divina non si stanca mai di inviare “Mercurios quosdam”, pur sapendo che saranno poco o male accolti. Sia l’intelletto, sia il sole sensibile, non smettono di illuminare, per il fatto che non sempre né tutti se ne rendono conto… A rischio di non essere riconosciuti e apprezzati, diffondono le luce e squarciano le tenebre dell’ignoranza con le loro opere straordinarie.

L’OCCHIO E LO SPIRITO – Merleau-Ponty

[…]

Strumento che si muove da sé, mezzo che si inventa i suoi fini, l’occhio è ciò che è stato toccato da un certo impatto con il mondo, e lo restituisce al visibile mediante i segni tracciati dalla mano.

[…]

E’ il quesito di colui che non sa a una visione che sa tutto, che non siamo noi a fare, ma che si fa in noi.

[…]

Lo spazio è considerato a partire da me come punto o grado zero della spazialità. E non lo vedo secondo il suo involucro esteriore, lo vivo dall’interno, vi sono inglobato. Dopotutto, il mondo è intorno a me, non di fronte a me.

[…]

Per mezzo della visione tocchiamo il sole,le stelle, siamo contemporaneamente ovunque, accanto alle cose lontane come a quelle vicine.

CORPUS – Nancy

[…]

Per tutta la sua vita il corpo è anche un corpo morto, il corpo di un morto, di questo morto che io sono da vivo. Morto o vivo, né morto né vivo, sono l’apertura, la tomba o la bocca, l’una nell’altra.

[…]

Ha questo naso, questo colore della pelle, questo neo, questa altezza, questo incavo, questa stretta. Pesa questo peso. Ha questo odore. Perchè questo corpo è cosi’ e non altrimenti?

[…]

Ogni corpo, ogni massa presa da un corpo è immensa, cioè smisurata, infinita da percorrere, da toccare, da soppesare, da guardare, da far posare, da diffondere, da infondere, da far pesare, da sorreggere, cui resistere, da sostenere come peso e come sguardo, come lo sguardo di un peso.

[…]

Perchè c’è questo, la vista, e non invece qualcosa che confonde il vedere e l’udire? Ma di una tale mescolanza ha senso parlare? E in che senso? Perchè c’è questa vista che non vede gli infrarossi? Perchè questo udito che non sente gli ultrasuoni? Perchè all’interno di ogni senso ci sono delle soglie, e tra i vari sensi un muro? I sensi non sono forse degli universi separati? La dislocazione di ogni universo possibile? Che cos’è il divario fra i sensi? E perchè 5 dita? Perchè questo neo? Perchè questa piega all’angolo della bossa? Perchè questa ruga, proprio là? Perchè quest’aria, quest’andatura, questa misura, questa dismisura? Perchè questo corpo, perchè questo mondo, perchè assolutamente ed esclusivamente lui?

[…]

Hoc est enim: questo mondo qui, che qui giace, con la sua clorofilla, la sua galassia solare, con le rocce metamorfiche, i protoni, la doppia ellissi desossiribonucleica, il numero di Avogadro, la deriva dei continenti, i dinosauri, lo strato di ozono, le striature delle zebre, la bestia umana, il naso di Cleopatra, il numero dei petali della margherita, lo spettro dei colori dell’arcobaleno, la maniera di Rubens, la pelle del pitone, questo filo d’erba e questa vacca che lo bruca, e la sfumatura dell’iride nell’occhio di chi legge questa parola, qui e ora? E perchè non anche dei sensi che non si nominano, che non si sentono, o che non si sentono come sensi, un senso della durata, del tempo che passa? E addirittura un senso dello spaziamento dei sensi? E un senso dell’estensione pura? O dell’esistenza?

[…]

Negli occhi si trova il fuoco; nella lingua che forma la parola l’aria; nelle mani che possiedono il tatto, la terra; e l’acqua nelle parti genitali. (Bernardo di Chiaravalle)

[…]

Corpus del tatto: sfiorare, rasentare, premere, conficcare, serrare, lisciare, grattare, strofinare, accarezzare, palpare, tastare, plasmare, massaggiare, abbracciare, stringere, battere, pizzicare, mordere, succhiare, bagnare, tenere, lasciare, leccare, scuotere, guardare, ascoltare, annusare, gustare, scansare, baciare, cullare, bilanciare, portare, pesare…tutto alla fine comunica col pesare. Il nostro mondo è l’erede del mondo della gravità: tutti i corpi pesano gli uni sugli altri e gli uni contro gli altri, i corpi celesti e i corpi callosi, i corpi vitrei e i corpuscoli.
Corpus del peso di una materia, della sua massa, della sua polpa, della sua granulosità, della sua apertura, della sua mole, della sua molecola, della sua moltitudine, del suo turbamento, del suo turgore, della sua fibra, del suo succo, della sua invaginazione, del suo volume, della sua punta, della sua caduta, della sua carne, della sua concrezione, della sua pasta, della sua cristallinità, della sua contrazione, del suo spasmo, del suo fumo, del suo nodo, del suo sciogliersi, del suo tessuto, della sua dimora, del suo disordine, della sua ferita, del suo dolore, della sua promiscuità, del suo odore, del suo gusto, del suo timbro, del suo alto e basso, destra e sinistra, della sua acidità, del suo affannare, del suo equilibrio, della sua dissociazione, della sua risoluzione, della sua ragione.

[…]

Non abbiamo un corpo ma siamo un corpo.

IL VISIBILE E L’INVISIBILE – Merleau-Ponty

[…]

E’ vero che il mondo è ciò che noi vediamo, ed è altresi’ vero che nondimeno dobbiamo imparare a vederlo.

[…]

Il mio corpo è fatto delle medesima carne del mondo.

[…]

Il corpo si vede vedente, si tocca toccante.

[…]

Toccare è toccarsi. Da intendere come: le cose sono il prolungamento del mio corpo e il mio corpo è il prolungamento del mondo, grazie a esso il mondo mi circonda.

[…]

Il corpo è ritto davanti al mondo e il mondo ritto davanti al corpo, e fra loro vi è un rapporto d’abbraccio. E fra questi due esseri verticali, c’è non una frontiera, ma una superficie di contatto.

APOCALISSE EBRAICA – LIBRO DELLA RIVELAZIONE DI BARUC

[…]

Ti ho tracciata sul palmo delle mani.

[…]

Gli anni di ora sono pochi e cattivi, e chi potrà in questo breve tempo ereditare quel che non ha misura? Presso l’Altissimo non conta un tempo lungo e neppure pochi anni. Colui che ha dato la luce ha preso dalla luce, ma pochi sono coloro che gli sono stati simili. Ecco, ho posto davanti a voi la vita e la morte, e hanno testimoniato contro di voi il cielo e la terra. Sapeva infatti che il suo tempo era breve, ma il cielo e la terra sono in ogni tempo.

[…]

Sempre cambia la natura degli uomini. O non è infatti vero che ora siamo come eravamo prima e che poi non resteremo come siamo ora? Di fatto, se non vi fosse un compimento per tutto, invano sarebbe stato il nostro inizio.

S. GIOVANNI DELLA CROCE – Ascesa a Monte Carmelo

{…}

Per giungere a gustare il tutto, non cercare il gusto in niente.

Per giungere al possesso del tutto, non voler possedere niente.

Per giungere ad essere tutto, non voler essere niente.

Per giungere alla conoscenza del tutto, non cercare di sapere qualche cosa in niente.

Per venire a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi.

Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai.

Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove ora niente hai.

Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove ora non sei.

(…)

S. Giovanni della Croce

T.S. ELIOT – East Coker (Four Quartets)

{…}

In order to arrive there,
to arrive where you are, to get from where you are not,
you must go by a way wherein there is no ecstasy.
In order to arrive at what you do not know
you must go by the way which is the way of ignorance.
In order to possess what you do not possess
you must go by the way of dispossession.
In order to arrive at what you are not
you must go through the way in which you are not.
And what you do not know is the only thing you know
and what you own is what you do not own
and where you are is where you are not.

{…}

Per arrivare dove voi siete, per andare via da dove non siete,

dovete percorrere una strada dove non c’è estasi.

Per arrivare a ciò che non sapete

dovete andare per una strada che è la via dell’ignoranza.

Per possedere ciò che non possedete

dovete percorrere la via della spogliazione.

Per arrivare a ciò che non siete

dovete attraversare la via in cui non siete.

E ciò che non sapete è la sola cosa che sapete

e ciò che avete è ciò che non avete

e dove siete è là dove non siete.

T.S. Eliot

 

 

 

LE GOUFFRE – Charles Baudelaire

Le gouffre

Pascal avait son gouffre, avec lui se mouvant.

– Hélas ! tout est abîme, – action, désir, rêve,

Parole ! et sur mon poil qui tout droit se relève

Maintes fois de la Peur je sens passer le vent.


En haut, en bas, partout, la profondeur, la grève,

Le silence, l’espace affreux et captivant…

Sur le fond de mes nuits Dieu de son doigt savant

Dessine un cauchemar multiforme et sans trêve.


J’ai peur du sommeil comme on a peur d’un grand trou,

Tout plein de vague horreur, menant on ne sait où ;

Je ne vois qu’infini par toutes les fenêtres,


Et mon esprit, toujours du vertige hanté,

Jalouse du néant l’insensibilité.

Ah ! ne jamais sortir des Nombres et des Etres !

Charles Baudelaire

Baratro

Il suo baratro aveva Pascal, che lo accompagnava.

Con lui ovunque abisso, –  in ogni azione, desiderio, sogno

Parola! E sul mio pelo

Più volte sento passare il vento, che mi raggela.


In alto, in basso, ovunque, profondità e peso.

Sul fondo delle mie notti Dio con il suo dito,

sapiente disegna un incubo multiforme e senza tregua.


Ho paura del sonno come ho paura di quel buco, buio, sconfinato,

colmo di  un orrore vago e senza oggetto, che non so dove conduca

DA OGNUNA DELLE MIE FINESTRE, NON VEDO CHE INFINITO,

E il mio spirito, dalla vertigine di continuo ossessionato,

guarda con invidia al nullo niente anestetico dell‘insensibilità.

Potessi mai mai trapassare il novero del Numero e degli enti


Libera Traduzione dal francese di Loretta Mesiti

DE LA CAUSA, PRINCIPIO E UNO – Giordano Bruno

[…]

O monte, sebbene la terra ti stringa tenendoti per le profonde radici su cui poggi, tu non pertanto sai erigerti col vertice sino al cielo

[…]

Ecco vi veggio qual saldo, fermo e costante scoglio, che, risorgendo e mostrando il capo fuor di gonfio mare, né per irato cielo, né per orror d’inverno, né per violente scosse di tunide onde, né per stridenti aerie procelle, né per violento soffio d’Aquiloni, punto si scaglia, si muove o si scuote; ma tanto più si rinverdisce e di simil sustanza s’incota e si rinveste.

[…]

Perchè dunque le cose si cangiano? La materia si forza ad altre forme? Vi rispondo che non è mutazione che cerca altro essere, ma altro modo di essere. E questa è la differenza tra l’universo e le cose de l’universo: perchè quello comprende tutto lo essere e tutto modi di essere; di queste ciascuna ha tutto l’essere e tutti i modi di essere.

[…]

Principio caelum ac terras camposque liquentes,
Lucentemque globum lunae Titaniaque astra
Spiritus intus alit, totamque infusa per artus,
Mens agitat molem et toto se corpore miscet”

(E il cielo e la terra e la distesa del mare e il luminoso globo della luna e l’astro solare muove e avviva dall’interno lo spirito, e infusa in tutte le parti del mondo la mente agita l’universa mole, commista profondamente alla sostanza del cosmo)

 

[…]

Che è quel che esiste? Quel medesimo che già fu. E che è quel che fu? Quel medesimo che ora esiste. Niente è nuovo sotto il sole.

 

[…]

Non vedete voi che quello che era seme si fa erba, e da quello che era erba si fa spica, da che era spica si fa pane, da pane chilo, da chilo sangue, da questo seme, da questo embrione, da questo uomo, da questo cadavero, da questo terra, da questa pietra o altra cosa, e cossi’ oltre, per venire a tutte forma naturali?

Bisogna dunque che sia medesma cosa che da sé non è pietra, non terra, non cadavero, non uomo, non embrione, non sangue o altro; ma che, dopo che era sangue, si fa embrione, ricevendo l’essere embrione; dopo che era embrione, riceva l’essere uomo, facendosi omo: come quella formata dalla natura, che è soggetto de la arte, da quel che era arbore, è tavola e riceve l’esser tavola; da quel che era tavola,riceve l’esser porta ed è porta.

 

[…]

Ideo habet nullas, ut omnes habeat” (Non ne ha nessuna, per averle tutte)
Perchè volete più tosto che le includa tutte, che le escluda tutte?
Perchè non viene ad ricevere le dimensioni come di fuora, ma a mandarle e cacciarle come dal seno.

 

[…]

E’ dunque l’universo uno, infinito, inmobile. Una, dico, è la possibilità assoluta, uno l’atto, una la forma e anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo ed ottimo; il quale non deve posser essere compreso; e però infinibile ed interminabile, e per tanto infinito ed interminato, e per conseguenza inmobile. Questo non si muove localmente, perchè non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia tutto. Non si genera; perchè non è altro essere che lui possa desiderare o aspettare, atteso che abbia tutto lo essere. Non si corrompe; perchè non è altra cosa in cui si cange, atteso che è infinito…Non è alterabile in altra disposizione, perchè non ha esterno da cui patisca e per cui venga in qualche affezione… Non è materia, perchè non è figurato né figurabile, non è terminato né terminabile. Non è forma, perchè non informa né figura altro, atteso che è tutto, è massimo, è uno, è universo. Non è misurabile né misura. Non si comprende, perchè non è maggiore di sé. Non si è compreso, perchè non è minor di sé. Non si agguaglia, perchè non è altro ed altro, ma uno e medesimo…E’ talmente forma che non è forma; è talmente materia che non è materia; è talmente anima che non è anima: perchè è il tutto indifferentemente, e però è uno, l’universo è uno. In questo certamente non è maggiore l’altezza che la lunghezza e profondità, onde per certa similitudine si chiama, ma non è, sfera. Nella sfera medesima cosa è lunghezza che larghezza e profondo, perchè hanno medesimo termino; ma ne l’universo medesima cosa è larghezza, lunghezza e profondo, perchè medesimamente non hanno termine e sono infinite…Se non vi è misura, non vi è parte proporzionale, né assolutamente parte che differisca dal tutto. Perchè se vuoi dirla parte de l’infinito, bisogna dirla infinito…Ne l’infinita durazione non differisce la ora dal giorno, il giorno da l’anno, l’anno dal secolo, il secolo dal momento; perchè non sono più gli momenti e le ore che gli secoli, e non hanno minor proporzione quelli che questi a la eternità…Dunque infinite ore non son più che infiniti secoli…E’ tutto quello che può essere…E’ necessario dunque che il punto ne l’infinito non differisca dal corpo, perchè il punto, scorrendo da l’esser punto, si fa linea; scorrendo da l’esser linea, si fa superficie; scorrendo da l’esser superficie, si fa corpo: il punto dunque, perchè è in potenza ad esser corpo, non differisce da l’esser corpo, dove la potenza e l’atto è una medesima cosa. Dunque, l’individuo non è differente dal dividuo, il simplicissimo da l’infinito, il centro da la circonferenza…Se il punto non differisce dal corpo, il centro dalla circonferenza, il finito da l’infinito, il massimo dal minimo, sicuramente possiamo affirmare che l’universo è tutto centro o che il centro de l’universo è per tutto…Ecco come non è impossibile, ma necessario, che l’ottimo, massimo, incomprensibile è tutto, è per tutto, è in tutto, perchè, come semplice ed indivisibile, può esser tutto, esser per tutto, essere in tutto.

DE L’INFINITO, UNIVERSO E MONDI – Giordano Bruno

[…]

Quindi l’ali sicure a l’aria porgo, né temo intoppo di cristall’o vetro; ma fendo i cieli e a l’infinito m’ergo.

[…]

Se io contrattasse l’aratro, pascesse un gregge, coltivasse un orto, rassettasse un vestimento: nessuno mi guardarebbe, pochi m’osservarebono, da rari serei ripreso, e facilmente potrei piacere a tutti. Ma per essere delineatore del campo de la natura, sollecito circa la pastura de l’alma, vago de la coltura de l’ingegno, e dedalo circa gli abiti de l’intelletto: ecco che chi adocchiato me minaccia, chi osservato m’assale, chi giunto mi morde, chi compreso mi vora; non è uno, non son pochi, son molti, son quasi tutti. Se volete intendere onde sia questo, vi dico che la caggione è l’universitade che mi dispiace, il volgo ch’odio, la moltitudine che non mi contenta, una che m’innamora. Quella per cui son libero in suggezzione, contento in pena, ricco ne la necessitade, e vivo ne la morte; quella per cui non invidio a quei che son servi nella libertà, han pena nei piaceri, son poveri ne le ricchezze e morti ne la vita: perchè nel corpo han la catena che le stringe, nel spirto l’inferno che le deprime, ne l’alma l’errore che le ammala, ne la mente il letargo che le uccide; non essendo magnanimità che le delibere, non longanimità che le inalze, non splendor che le illustre, non scienza che le avvive. Indi accade che non ritrao come lasso il piede da l’arduo camino, né come desidioso dismetto le braccia da l’opra che si presenta; né qual disperato volgo le spalli al nemico che mi contrasta, nè come abbagliato diverto gli occhi dal divino oggetto.

 

[…]

Dico che il sole non luce al sole, la terra non luce alla terra, nessun corpo luce in sé, ma ogni luminoso luce nel spacio circa lui. Però, quantumque la terra sia un corpo luminoso per gli raggi del sole nella superficie cristallina, il suo lume non è sensibile a noi, né a color che si trovano in tal superficie: ma a quei che sono a l’opposito di quella. Come oltre, dato che tutta la superficie del mare la notte sia illustrata dal splendor de la luna, a quelli però che vanno per il mare non appare se non in quanto a certo spacio che è a l’opposito verso la luna; a i quali se fusse dato di alzarsi più e più verso l’aria sopra il mare, sempre più e più gli verrebbe a crescere la dimension del lume, e vedere più spacio di luminoso campo.

 

 

L’OCCHIO E LO SPIRITO – Merleau Ponty

[…]

Tutto ciò che vedo è per principio alla mia portata, per lo meno alla portata del mio sguardo, segnato sulla mappa dell’Io posso.

[…]

Questo equivalente interno, questa formula carnale della loro presenza che le cose suscitano in me, perchè non potrebbero suscitare a loro volta il tracciato visibile in cui ogni altro sguardo ritroverebbe i motivi che sostengono la sua ispezione del mondo?

[…]

Le sue azioni più proprie – quei gesti, quei segni di cui lui solo è capace, e che saranno rivelazioni per gli altri, che non hanno le sue medesime mancanze – gli sembreranno emanare dalle cose stesse, come il disegno delle costellazioni.

[…]

Dobbiamo prendere alla lettera quello che ci insegna la visione: che per suo mezzo tocchiamo il sole, le stelle, che siamo contemporaeamente ovunque, accanto alle cose lontane come a quelle vicine, e che perfino la nostra facoltà di immaginarci altrove, di mirare liberamente a esseri reali ovunque essi si trovino, attinge anch’essa alla visione, riutilizza mezzi che ci vengono da essa.

 

 

 

SIGNATURA RERUM – Giorgio Agamben Bollati Boringhieri

[…]

La relazione espressa dalla segnatura non è, cioè, una relazione casuale, ma qualcosa di pià complicato, che retroagisce sul segnatore e che si tratta, appunto, di capire.

2. Prima di passare all’analisi delle segnature impresse dall’Archeo sulle cose naturali, Paracelso ricorda che esiste una Kunsta Signata che costitusice per così dire il paradiga di ogni segnatura. Questa segnatura originaria è la lingua, attraverso la quale il “primo signator“, Adamo, ha imposto in ebraioco alle cose i loro “giusti nomi” (die rechten Nammen: Paracelso, III, 6, 356).

[…]

A ogni nome che usciva in ebraioco dalla bocca di Adamo, corrispondevano la natura e la virtù specifica dell’animale nominato:
E come dice:”questo è un porco, un cavallo, una vacca, un orso, un cane, una volpe, una pecora e simili”, il nome mostra il porco come un animale triste e sporco; il cavallo come un animale forte e appassionato; la vacca come un animale ingordo e insaziabile; l’orso un animale forte e invincibile; la volpe un animale perfido e astuto; il cane, un animale infedele alla sua specie; la pecora, un animale pio e utile, incapace di nuocere. (ibid.)