Alto Fragile sono 4 itinerari di ricerca scenica, che prendono le mosse da Moby Dick di Herman Melville, Le Tre Sorelle di Anton Čechov, Le Troiane di Jean Paul Sartre, La Caduta di Albert Camus.
Ti proponiamo di accompagnare il nostro percorso di ricerca assistendo l’evolvere della creazione, in 4 appuntamenti mensili.
A ciascun percorso abbiamo dato il nome di teatrografia. Una teatrografia è l’istantanea del processo creativo in corso.
Essa rappresenta al contempo la traccia del cammino svolto e la cartografia di un cammino da proseguire.
3SORELLE
ovvero il coraggio l’abitudine l’invisibile
In un viaggio tra Cechov e Beckett ci inabissiamo nella fragilità di tutti i sommersi, i dimenticati.
In un’epoca dominata dalla rinuncia, l’abitudine è la salvezza degli umili. il silenzio e il vuoto diventano quasi rassicuranti per chi non ha la forza di realizzare i propri desideri.
Il niente a portata di mano è tutto ciò di cui hanno bisogno gli esseri fragili per esistere, in un indefinito tempo che con fatica può chiamarsi vita. Una vita a cui ci si prepara fin dall’infanzia, coll’educazione, la scuola, la famiglia, l’amore: bisogna essere pronti, può accadere da un momento all’altro; le nostre tre sorelle aspettano l’occasione buona, “una vita” ecco a cosa aspirano.
Un salto nel buio ci vorrebbe, una corsa ad occhi chiusi come da bambini. Un ballo in maschera, la musica che ti ubriaca, l’amore quello vero, un lavoro proprio quello fatto per te,
A Mosca! A Mosca! A Mosca!
Ciò che resta di Cechov e Beckett è l’atmosfera, i suoni, i silenzi, le linee dure del significante.
Ci siamo incamminati alla ricerca di un uso innovativo del linguaggio grammaticale, esplorando le possibilità del tempo verbale “imperfetto”, così da poter raccontare un’azione sempre presente nella memoria, ma effettivamente accaduta nel passato, in modo da creare un cortocircuito che trasporta attori e pubblico in un tempo immobile che ci inchioda alla tragedia dell’inattività, all’ineluttabilità di certi destini
è una vitache noia, signori miei, vivere a questo mondocome è allegra e vivace
la musica,
come si ha voglia di vivere
Le Troiane
ovvero della donna che S’IGNORA
Per questo mi tenevo nascosta nelle mie stanze, dove con me avevo rinchiuso anche il mio intelletto. Sapevo offrire al mio Ettore occhi calmi e una presenza silenziosa. Quando serviva avevo imparato a resistergli. Quando serviva sapevo farmi vincere.
Vedi, vecchia regina, io non mi auguravo che la sua felicità e per me nient’altro che il nome di perfetta sposa. Ma la fama delle mie virtù è giunta all’assassino di mio marito e suo figlio ora mi reclama per il suo letto. Si dice che una sola notte di piacere basti per domare una donna. Bisognerà che i ricordi della mia carne si insozzino del fango che ricopre la terra. Questa terra, che fu la nostra.
Liberamente da Jean-Paul Sartre, Le TroianeI greci hanno sconfitto Troia e prima di tornare in Patria si spartiscono il bottino di guerra. Del valoroso popolo troiano restano solo le donne: Ecuba, la moglie del re. Polissena e Cassandra, le loro figlie. Andromaca, la moglie di Ettore. Elena, la sposa adultera. Anche loro verranno distribuite, con il bottino ai nemici, per essere condotte schiave in terra straniera.
La terra brucia sulle mie ginocchia, la stringo fino a sporcarmi. Mi graffia. Guardo la regina, per terra, immobile, bianca come una statua di cera. Cerco sollievo nella terra e allora mi stendo come aspettando che bruci. La terra punge. Odore di sangue. Tutto puzza, la terra, le donne, i soldati. Sangue e bruciato. Affondo il mio viso nella mia terra.
La guerra si conclude con il sacrificio del piccolo Astianatte, il figlio di Andromaca, l´erede al trono.
ll suo piccolo corpo profuma ancora. Mi conforto nella pelle morbida, bacio le sue labbra calde.
Per un attimo solo calore che sa di latte e talco. Da lontano, passi veloci, passi duri,da uomo.
Si avvicinano con la puzza di sporco, come di chi non tocca sapone da settimane. Con la morte del figlio inizia la vita di Andromaca.
La vita di Andromaca dopo che la vita della figlia Andromaca, della madre Andromaca, della sposa Andromaca sono definitivamente concluse. Cosa resta ad Andromaca, cosa resta di Andromaca quando non può più dirsi madre, moglie, sposa? Cosa resta della regina madre Ecuba quando i vincitori vogliono strapparla alla sua terra? Cosa resta di Cassandra dopo la sua verginità, se non la vendetta? Di fronte alla distruzione del loro mondo, dopo la fine della guerra ciascuna di loro è inerme, in balia, di fronte a questo resto scomposto di sé che non sa se tacere o gridare.
preferisco ‘e me vede’ nu film…
(e) ghia’ nce l’avimme vede’!
un film romantico, gghja ce l’amma vedè?
La Caduta
Jean-Baptiste Clamence ovvero la santa innocenza
Jean-Baptiste Clamence è un noto avvocato di Parigi. Ha successo. Si sente sorretto da due sentimenti sinceri: la soddisfazione di trovarsi dalla parte del giusto e un istintivo disprezzo.
La caduta, presunta, della fanciulla nella Senna è la pietra di inciampo sulla quale la sua vita deraglia. Clamence si trova smascherato di fronte al suo sottrarsi, senza ragione, all´obbligo morale di prestare aiuto. Improvvisamente precipita dalla parte del torto. Si trasferisce ad Amsterdam, città che rappresenta il fondo delle cose, i cui i canali concentrici gli ricordano i gironi dell’inferno. Trascorre le sue giornate nei bar più squallidi in prossimità del porto, abborda avventori ed inizia la sua implacabile confessione.
Eppure proprio questa caduta sociale e morale di Clamence al fondo delle cose potrebbe aprirgli una paradossale possibilità di salvezza. Fanciulla, gettati di nuovo in acqua perché io abbia una seconda volta la possibilità di salvarci entrambi! Una seconda volta, una seconda possibilità. Che sfacciata impudenza! Ma supponga eccellenza che qualcuno ci prenda in parola… Bisognerebbe andare fino in fondo Brr….! L´acqua è così fredda. Ma rassicuriamoci. È troppo tardi ora. Sarà sempre troppo tardi. Per fortuna
abbiamo perso la santa innocenza di colui
che sa perdonare a se stesso.
MOBY DICK
un inno alla sopravvivenza della propria umanità in un mare pieno di pescecani,
per ritrovare in sé ciò che c’è di divino e di eterno. ovvero di Moby Dick
e d’altri mostri che ho amato.
La storia che ti racconto è quella di un uomo che ha giurato fedeltà a un pazzo, uno che ha affrontato l’oceano e il mondo dei mostri marini, uno che ha visto la morte nuotargli davanti a fauci spalancate, uno che si è salvato aggrappato alla bara del suo più grande amico, che era un selvaggio, un uomo che ora può raccontare di essere l’unico superstite di un equipaggio che aveva giurato di fronte al proprio comandante di dire no alla natura e alle sue leggi, al bene al male e al loro legame.
Quest’ uomo su una lancia non più lunga di sei metri, ha navigato fianco a fianco a un capodoglio gigante lungo il triplo e grosso il quadruplo, lo ha cacciato e infine lo ha ucciso, gli ha squarciato il petto e ne ha mangiato le carni, capisci! E’ stato nel suo ventre. Ha affrontato tempeste in mare aperto con l’acqua che arrivava da ogni parte, ha cacciato gli squali come si cacciano i cani che elemosinano gli avanzi ai piedi delle tavole imbandite, ha conosciuto principi guerrieri di paesi lontani, grandi uomini della cui scomparsa piangono popoli, e ne è stato amico pari a pari, mani nell’acqua a tirar su grasso di balena.
Ed infine si è trovato di fronte a Moby Dick, ne hai mai sentito parlare? Così lo chiamano. E’ il più grosso capodoglio che sia mai esistito, colui che tutto distrugge e che ha memoria del male, il Leviatano.
Quest’uomo che voleva scappare da se stesso, suo malgrado, si è trovato davanti ai suoi mostri.
parole e sangue; ond’io lasciai la cima
cadere, e stetti come l’uom che teme.
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